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letra de il processo - miike takeshi

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[strofa 1: operasilenzio]
tu mi hai trovato all’ombra di un salice mentre anelavo un aiuto
chiedevo d’essere seppellito con i miei piaceri, i miei doveri
gli stessi che m’avrebbero reso un uomo migliore
sì, ma come tu volevi
e conto gli anni che separano me dalla vita
un altro sorso gìù in gola, poi sarà finita
a fine battaglia non c’è pietà per i vinti
se la prigionia è un lusso -per i volti pingui
scarno nell’animo, amaranto in viso
ho gettato l’ancora come fosse un appiglio
ma seppur fermo rimango in tempesta
solo nel cuore, -sono l’anima della festa
guardami mentre compio l’ultimo p-sso
falsi sorrisi colti nello sdegno di un p-sso falso
ogni mattina è un’offesa per me che nuoto in b-sso
con la testa in giù ed i piedi in alto
al che mi diressi infondo l’archè di un arco tratto
per largo tratto un infarto minacciò l’atto
“potenza ed atto” mi ripetevo come ad esimermi
dall’essere mente fautrice in comb-tta col braccio
resomi conto lacchè di un immaginario casto
tra il dire e il fare la casta mi gettò un s-sso
non risposi come fossi in timore paterno
non volli rispondere come la verità e il suo tempo

[strofa 2: flavio zen]
e gli occhi parlarono più dei vocaboli alternando labili
susseguirsi d’immagini sp-rs- come propaggini di verità
sotterrate tra le mille armature
che costrinsero il tuo egro ego ad iniettarsi false cure
e le tue pertinaci mani tendenti all’estremo
s’illusero di poter raggiungere il vero
ed accarezzarne le fattezze
forme rigonfie su se stesse
verità sommesse come foglie secche

[strofa 3: miike takeshi]
avanza figlio di niobe, danza con le tue colpe
con eleganza attorte dal tuo occhio miope
qui si pranza con gli umani dispiaceri
t’alletta il banchetto o a mio dispetto allerta lo celi?
cinerei i cieli, che spinsero nelle fauci del ludico
ludibrio pubblico la tua natura ed i veli
velatamente scostati dalla pupilla
lubrificata dall’accorato ingemisco che necessitante sobilla
sibila, atto e libido, vivido il grido d’aiuto
del livido uomo sparuto caduto nel limpido
liquido ove afrodite cnidia pudica celò il p-b-
alle cupide e lubriche occhiate ma rapita
da nube che occlude ragione a cagione conclude
nella tenzone d’ent-tà confuse a cui lei -sservita
e vinta le strinse le dita avvinta
sospinta dai flussi della lascivia per cui venne punita
l’erta è vicina, ti chiama, non si vaticina
si lesina l’ennesima smania di chi desina a mattina
il proprio corpo, vorresti un pezzo del mio?
te lo concedo col sussiego egoico di chi ciba un porco
canto, esorto il tuo arto superiore destro
ad ostentare l’estro del dito che sfiorò il fondo
il bavero è sporco, ma i desideri realizzati
prima di volerli t’han leso e reso in tal modo monco

[strofa 4: flavio zen]
e mezzo uomo mezzo verme con l’animo inerme
grondi verso il fondo strisciando sulle pendenze
che il tuo viscido spirito
incompetente non avverte
orbo dopo aver sedotto l’organza di maya
solerte la tua mente dissotterrante
risposte se pur false dedite a colmare l’antro nel ventre
ma la volgarità dell’umana carnalità
ci spingerà ad accontentarci di un ign-bile niente

[strofa 5: operasilenzio]
ho in mano quello che dico
tu stringi il cappio, mentre io sollevo il dito
pensi che voglia parlare, ti sbagli
giudico il cielo, una stirpe di re infingardi
anche io come te credevo che il male
fosse in un recinto di sbagli
ma esso si annida negli interstizi delle scelte importanti
come la falsa gloria dopo i traguardi, innanzi al mondo fosti
eletto padrino, vile -ss-ssino
con una mano sorreggo l’infante
con l’altra gli occulto il viso, saprà vedermi padre o riluttante
crescere pesante, una palla al piede sarà il suo insegnante
mentre sua madre invecchia, ed il suo grembo lat-tante, ansimante

[strofa 6: miike takeshi]
t’esagiti contro il nulla, hai addotto aditi
ad ambiti i cui avi furono complici sulla la tua culla
il vetro che ci separa è un’illusione
io predone tu pedina ma il pianto ripristina la proporzione
che esecro, hai bisogno che ti porga il piede
ed io che tu lo deterga con le lacrime piene
del bene che ho imposto, ti conosco figlio dal tuo giaciglio
ho monitorato ogni tuo singolo p-sso mosso
erostrato potrà lodarti, ma gli arti
che ti celebrarono saranno pasto con cui cibarti
app-ssì p-ssivo nella sua ragion d’essere il gambo
che fu impiantato nel vaso dei rimpianti
siamo la volontà impotente, parimenti
è gonfio il seno materno e non può essere altrimenti
ti ho articolato perchè debole
ho inc-n-lato nel sangue il siero e il veleno dei miei serpenti

[strofa 7: flavio zen]
dopo la carneficina d’ogni verità sporchi di sangue
danzeremo sulle nostre stesse spoglie senza prole o moglie
il malcontento di aver preso l’abbaglio
più caustico della storia ti divorerà dal didentro
m’impegno da figura narrante
ma nonostante questo non comprendo
l’interstizio tra pensiero ed atto
la prova dell’inconcretezza delle nostre gesta
si presenta nell’antonomia fra braccia e membra

[strofa 8: operasilenzio]
sicuro di te stesso, mitridate
il superuomo che nasce, le fiabe e le cazzate
la vita qui sotto è un atto di coraggio
tra chi sceglie la felicità e chi la sogna ad ogni capodanno
l’ardire di dorian gray, figli b-st-rdi di venere e leto
apollo ha un buco in testa e bacco gli fa la festa
la vendetta di giunone cadde sugli ignari
che agivano sconsiderati, incoscienti
come può un sovrano stanco di tutto questo
nasconderlo e perseverare l’alterco
alterno il contegno allo sdegno di un atto così controverso
tiranno se la vittima cede al pretesto
uomini in una guerra tra poveri
poveri noi che sogniamo il domani
ma oggi facciamo di tutto perché sia l’ultimo
crivellato dai colpi mi piego, mi spezzo, ricuso il tuo ego

[strofa 9: miike takeshi]
noi siamo complementari non nel vezzo
ma in ciò che si anela la favella da cui trapela disprezzo
il mio ego lo plasmi dai miasmi della tua bocca
edotta ma affettata dinanzi al credo
compreso in tempo e spazio
dio immanente emulo il tuo
che affaticò la mano per il mero sollazzo
le necessità naturali evolvono l’indole in sindrome
è il tuo ruolo che te ne fa essere saturo e sazio
le gote brindano di ciò che mi è dato in dote
la decisione del bene e del male di vite vuote
alla ricerca del piacere infinito
in verità mi deplori non avendo la liceità del mio omicidio
rido del mondo, fecondo d’astrazioni intonanti
dissonanti evoluzioni di vile conforto
ed in fondo, se la parvenza è convenienza
io con benemerenza appaio a un pubblico stolto

[strofa 10: flavio zen]
non potrai mai sottrarti
perché i tuoi arti non riprodurranno in egual modo
ciò che in principio fu solo impulso
siediti e guarda tutto con gli occhi di chi non ammette
di aver perso il senso ormai distrutto
con un gesto oscenamente umano
per voler estendersi al di là dello steccato
dello squallore che c’hanno concesso
la pace regna in terra e resta soltanto l’olezzo
di una vecchia guerra nata sotto l’ombra di un cipresso

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