letra de poesia quantica - uochi toki
puoi dire solo una parola per volta ma puoi provare infinite sensazioni tutte insieme. quando descrivi la vita e l’amore nelle tue poesie l’oscurità si arricchisce del tuo non essere capace e mano mano che tu tieni in luce i capisaldi della tua poetica questi si essiccano ed è un problema e non è un problema perché nel buio c’è sempre più materia indescrivibile che se toccata può darti la concreta senzazione di un campo gravitazionale descritto in equazione, comunque inesatta perché formalizzata. ma come non insegna nessuno, il risultato diventa utile quando viene cancellato, e quando porto sul palco una parola mostro cenere e mi aspetto si capisca cosa fosse prima. un’-n-lisi spettrometrica ti dirà se hai ragione a preoccuparti e di solito no, all’accademia ti diranno cosa sia fisica e cosa sia poesia, e per quanti libri preferivi tu possa usare per cucire i tuoi vest-ti dovrai sempre raccontare e raccontarti per sentirti intriso di realtà. e quando scriverai la tua poesia forse ti p-sserà di mente che il punto non è quello, e che quando un fisico viene ricordato per quello che ha scoperto la fisica diventa carne umana e perde parte della sua immensa continuità, quindi tutta. e nascondersi dietro al fatto che siamo umani è il motivo che impedisce di fare finta di no. “fare finta” è un’espressione che delimita, uno specchio che ti mostra in concreto l’al-di-là e tu varcalo come le persone che mentono sapendo di mentire e creano alternative alla realtà dicendo molto più di loro stessi rispetto a coloro che si fanno paravento con la verità. la poesia quantistica è un muro che ti separa da un altro mondo, non raggiungi il kenshō con l’intenzione, ma nemmeno con la casualità. tu mi senti parlare, la tua reazione è chiedermi una bibliografia o ridere dell’austerità dei monaci zen suggerendo in modo becero che lo zen sia relax. ma anche fosse, il relax è super, sta sopra la visione sbrigativa di una chiacchiera da bar, e tu smettila con questa cantilena dell’uomo comune, della vita di tutti i giorni, della normalità, anzi, continua a relegare nell’ombra parti che non usi e che qualcuno troverà magnifiche quando l’ombra ti soffocherà. l’oscurità non è il male, è un’indetermin-z-one abnorme che ha già divorato le parole e gli atomi perché come esistono infiniti “qui”, esistono infiniti “quando”, mentre tu indossi con sagacia spenta una maglietta con scritto “odio i lunedì”, e quale impalcatura macchinosa usiamo per portare in giro questi suoni che articolano un linguaggio, che articolano elettricità? a cosa serve tutto questo incontrare gente, edulcorare fisica e poesia se non a traslarci pezzo pezzo fuori da queste dimensioni in cui siamo chiusi, incompatibili. essere tristi avviene solo quando qualcuno disturba questo transito, questo transito, questo transito
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