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letra de i mangiatori di patate - uochi toki

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cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino, cammino

arrivo a casa, trovo accesa la stufa, trovo acceso il camino: brucia legna di olivo, sul fuoco p-ssato di zucca, carbonara con salsiccia e panna, focaccia con cipolla. da bere c’è il tè bancha. la serata si preannuncia lunga. quando faccio una cena con la ciurma, mi si chiudono gli occhi a mezzanotte e mezza. vado a dormire in un letto scaldato da una coperta elettrica comprata negli anni ’80
accetto il fatto che lavorerò per mantenermi, almeno fino a quando non raggiungerò gli ottanta. la mia situazione economica la affido alle gesta di un mago della b-ssa finanza che si fidanza col risparmio, che piuttosto che spendere si sostenta a pane ed aglio. se mi scade il tagliando dell’-ssicurazione non ho problemi a non pagarlo, posso spostarmi deambulando. quando vedo in stazione un ragazzo col suo cane, mi verrebbe da interpellarlo, da dirgli: “no ma scusa ti stai sbagliando, con quello che spendi in droga ci paghi l’affitto, ci fai una spesa al supermercato, anzi tre o quattro”, anche se di solito sono io quello che viene interpellato perché vesto un po’ meno sbrindellato e mi si chiede una moneta per un biglietto del treno che era stato calcolato. “ti sei messo in viaggio senza sapere se disponevi dei soldi per tornare, ma sapendo che saresti tornato? saresti un genio, ma il tuo è un ripiego collaudato”. siete in migliaia, non in quattro. se chiedere elemosine fosse un metodo funzionale, ci sarebbero meno morti di fame che morti di spade – anzi, scusate – di bottigliette di plastica bruciacchiate, che fanno meno male. io e il mio compare ci spariamo in vena le teorie keynesiane, inaliamo la disperazione del crack del ’29

dammi trecento euro di stipendio fisso al mese, e diminuisco sensibilmente le mie pretese. vivo con poco, mi scaldo col fuoco, faccio la legna dalle potature di un oliveto, dalla pulizia di qualche arboreto, con qualche mio amico degno che ne sa più di me di boschi o di legno. il tempo che non impiego nel cercare un lavoro fisso serve a reperire materiali gratis o a p-sseggiare nel bosco a scrivere un libro-disco

mentre tu spendi lo stipendio di un poliziotto in una sera in discoteca, io spendo dieci euro di un c-cktail per fare la spesa, anche se ormai nemmeno il discount vale più la pena. lamentarsi dei prezzi rende la gente poco serena, per questo al posto del pane compro farina e lievito. non scendo in piazza. sto zitto e medito. resto in casa e mi faccio la pasta, vuoi la ricetta? per un etto di farina di grano duro metti uovo, sale, olio. lavora l’impasto finché non diventa elastico ma sodo. non dico niente di nuovo, ma solo perché sempre più spesso mi si dimostra che non viene utilizzato quello che ho detto di vecchio. mi piace utilizzare quello che b-tti di vecchio. il mio orecchio è sordo alle grida di dolore del prodotto interno lordo. il mio orecchio è sordo, ma sono un pessimo mercante. scialacquo il mio poco contante in pizza, dolci e in quei fumetti che si leggono al contrario. se mi serve un computer ho un altro amico specializzato nell’installare sistemi operativi di penultima generazione su computer trovati in giro che non girano veloce. mi affido alle risorse umane, non posso certo mantenermi grazie all’industria musicale. se una major ci contatt-sse, ci chiedesse di accettare, prendetelo come un segnale: vuol dire che non c’è proprio più niente da sfruttare. e visto che ci siamo, faccio un appello a quel drappello di agenti preposti ad indagare chi tra i gruppi di adesso varrebbe la pena contrattare. dunque, vi dico già da subito qual è la nostra condizione contrattuale: ci date trecento euro al mese a testa, in cambio noi vi diamo il master finito del nostro disco, senza prima avervelo fatto ascoltare. vi facciamo un disco all’anno, due concerti a settimana. per il resto rimaniamo ad abitare in collina dove stiamo. non ci trasferiamo a milano. siamo fanatici dell’oikos, ci divertiamo ad abitare. stare in casa è qualcosa di spettacolare. a quelli che mi ostracizzano dalle case auguro una morte innaturale perché io amo le case. ho amato molte più case che ragazze. mi piacciono i rapporti abitativi lunghi, ed anche le case da una sera soltanto. con alcune finiva male quando me ne dovevo andare o quando invece le ho abbandonate. altre invece sono state il mio castello, la mia base spaziale. me le sogno di notte e questo mi aiuta a ricordare. la mia casa attuale è la migliore. non so per quanto ci potrò stare, ma so che sarà intenso. per quante altre case io possa vedere in giro e sbalordisco è qui che torno a dormire; è qui che abito e sto scrivendo adesso. riesco a capire quello che conta veramente: case, rapporti, disegni, economia, contante. preferireste che io parl-ssi di qualcosa di più interessante, tipo delitti, castighi o memorie dal sottosuolo? allora leggetevi e ascoltatevi i libri dischi che abbiamo fatto prima di questo. p-ssatisti, pigri, noiosi, lenti! datevi una svegliata, fatevi una camminata

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