letra de asgard - silla dddictator
sono troppe le giornate che ancora non si risolvono
pochi t-sselli in mano corrispondono compongono un mosaico dal contorno irrealizzato
se ne guardo il risultato i miei gli occhi si confondono
quante anime spezzate cercano inquietudine per restare sedate
navigo in acque ancora agitate sirene cantate finchè le mie mani ghiacciate restan legate
qui le vite non si incontrano esistenze in contatto solo se si loggano
si baltano anche organo vero per meno di un quarto d’obolo
si dicono fratelli e ti pugnalan come romolo
come fare a districarsi, sono giorni che non vado avanti
di cadute ancora troppe, ogni fine giornata la mia stanza è tra gli incensi come quella di attalo i soter
il peso di sta stilo spezza la clavicola e percuote anche la particella quella più piccola
sto flusso in musica trasporta da una natura morta infima fino a sopra gradoni di una ziqqurat
di versi ancora una miriade più dell iliade son lame che tranciano tipo una triade
non ho mire demoniache, son solo io seguimi lontano dalle trame di alcibiade
rit: e’ una notte come un’altra
rincorredo l’alba tipo saga di asgard, freddo sulla mia faccia
di sinonimi a caccia, mentre il sole ghiaccia per quelli della mia razza vedi come p-ssa l’orda oro di sartak, mantenengo una mistura che è decisamente adatta
quello che scrivo difficilmente si adatta lascio ai posteri un’atmosfera rarefatta
un’altra sera di gennaio il mio sguardo è verso lo zenit
ho ancora i miei due bronchi maledettamente pieni, pensieri in andarivieni
il giorno tra poco inizia, quante notti spese tra i moniti della pizia perle di saggezza spiccia nelle bocche di 4 cani che bevono i pianti amari di clizia
una strofa dal mio immaginario inizia, salta il contenuto del mio cranio raggiunge l’iperuranio
ci perdiamo solo se gli occhi apriamo
raccolgo le ceneri di sogni disperse nel circondario, chiudo spliff in un sudario
mi chiedo poi lapidario: siamo quello che bramiamo o quello che raccontiamo?
le mie pagine son ruvide il risveglio non mi porta uno sbadiglio ritenendolo inutile non provare a fare cose uniche, non mi da rimorso manco senso di inettidudine
scrivo le mie dottrine mentre perdo diottrie ore abuliche, carta e penna uguale altitudine
è un’infinitudine di balzi che accompagnano i miei p-ssi attraverso chilometri di sint-ssi
senza pronostico benevolo, deambulo disperso ai miei piedi non cè porfido disteso
respiro metricubi di monossido rinchiuso in un panoptico senza nessun lume acceso
rit
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